Ricorre quest’anno (2019) il 50° anniversario della fondazione della SIEM.
La Sezione Territoriale di Milano festeggia con una giornata dedicata alla storia della SIEM attraverso i ricordi dei presidenti e al futuro dell’Educazione Musicale.
Tanta acqua è passata sotto i ponti. Carlo Delfrati, il suo fondatore, ripercorre, in una serie di articoli pubblicati su Facebook, le tappe essenziali che ne hanno segnato gli esordi e lo sviluppo dei primi anni.
La sezione milanese è lieta di ospitarne una copia corredata da fotografie meravigliose e rare.
Un resoconto più esteso e dettagliato è presente sul sito nazionale al seguente link:
Buona lettura !
In questi giorni, cinquant’anni fa, prendeva vita la Società Italiana per l’Educazione Musicale (SIEM). Prima che sia troppo tardi vorrei raccontare la sua nascita e i suoi primi sviluppi a chi non la conosce.
Carlo Delfrati (19 gennaio 2019)
LA SIEM – SOCIETA’ ITALIANA PER L’EDUCAZIONE MUSICALE
50 Anni dopo
I
Chi insegna oggi musica trova a sua disposizione un mare di iniziative – seminari, convegni, corsi d’aggiornamento – alimentate da enti pubblici e privati, da associazioni, da singole scuole. Ha a disposizione un’estesa biblioteca di ottimi libri di didattica musicale. Può anche confrontarsi e aggiornarsi a distanza, consultando gli innumerevoli siti su internet, o frequentando le liste di discussione.
Cosa esisteva cinquant’anni fa, di tanta ricchezza? Comincio oggi, per gli amici, il piccolo racconto di un’avventura che riguarda tanti di noi, vegliardi allora in prima fila, o giovani a cui chi ha corso prima di loro ha consegnato la fiaccola.
II
Retrocedo di sette anni. Nel 1962 prende vita la nuova scuola media. La musica riesce a farsi ammettere con un’ora settimanale obbligatoria in prima, facoltativa in seconda e terza. Sembra poco. È poco. Ma se si pensa al vuoto degli anni precedenti, questa è già una notevole conquista: per la prima volta nella nostra storia tutti i cittadini italiani scoprono a scuola che esiste la musica, sia pure per un solo anno. Primo problema: dove trovare il numero di insegnanti necessario?
Il problema ancora più grande si affaccia subito: cosa insegnare, e come, delle tante belle cose che ogni insegnante ha imparato studiando in Conservatorio? Scartate le cose importanti che l’hanno preparato al concertismo, gli studi di Martucci, di Grutzmacher, di Zimmermann. Cosa potrebbe farsene, in classe? Oppure la piramide dei valori? o la differenza fra ciaccona e passacaglia? o il numero di alterazioni del Fa minore? o la vita di Magister Leoninus? Come avrebbero reagito i ragazzi? L’insegnante novellino aveva anche letto che gli era proibito far cantare “musica leggera”, né era consentita la pratica di strumenti. Gli restavano le gioie del solfeggio, e i canti delle mondine. Quanto sopravviverà l’ora di musica, a scuola?
III
Capisco che ci vado di mezzo anch’io. Non vorrei farmi complice. Comincio a guardarmi intorno. Qualcuno ha riflettuto sull’insegnamento della musica? Ha scritto qualcosa d’interessante, di pratico? Da neo-padre conoscevo le cose della Montessori: buone per la prima infanzia, eccellenti per certe intuizioni di fondo, ma insomma troppo poco per l’arduo compito. Mi trasformo in talpa. I sotterranei della ben fornita biblioteca di un’Università milanese diventano la mia seconda casa. Libri utili non ne trovo, ma articoli sì. Ne faccio una rassegna (trovo persino chi la pubblica!). Dunque, alternative a quella didattica primordiale esisterebbero! Continuando il vagabondaggio per le biblioteche, mi trovo come il piccolo dinosauro del cartone alla ricerca della valle incantata: scopro nei paesi di lingua inglese un fervore, un turbinare d’idee, di progetti, di realizzazioni per me allora sconvolgente.
Tra queste eccone alcune che mi colpiscono più delle altre: sono l’organo ufficiale di altrettante associazioni didattiche. Associazioni? Dietro le riviste affiorano dunque territori dove anche un insegnante di musica è invitato a mettere in comune e confrontare le esperienze: potrei conoscere quello che fanno e pensano i colleghi, discutere con loro le mie buone e cattive pratiche scolastiche, le idee che mi sembra di maturare, le letture che divoro, i molti dubbi che sorgono quotidianamente…
Dov’è possibile tutto ciò nel nostro Paese, negli anni Sessanta? Da nessuna parte. Cosa fare?
IV
Anno che si ricorda, il Sessantotto. Anche a Milano. La gestazione della “Cosa Nuova” comincia nel maggio delle rivoluzioni studentesche e finisce nel successivo aprile delle prime bombe milanesi. A metà percorso, più innocue ma non meno significative, volano le uova marce di Mario Capanna e dei suoi (e miei) compagni d’università, all’apertura della stagione scaligera. Ma la piccola rivoluzione che m’immaginavo correva su un binario ben distinto, per certi aspetti divergente, da quello degli amici universitari: promuovere la ricerca e l’elaborazione didattica era un viaggio che a loro interessava poco intraprendere. Quando piccoli gruppi di colleghi si ritrovavano era solo per rivendicare trattamenti economici e normativi. Ma come ottieni miglioramenti se in pubblico offri della tua disciplina un quadro così lugubre come quello raccontato? Possibile che nessuno abbia pensato a una forma di aggregazione fra insegnanti, presentabile e soprattutto feconda di idee e di pratiche? Sì che ci avevano pensato. Non in Italia. Eccone una dal nome intrigante: “International Society for Music Education” (ISME). Allora, se esiste un’ISME, perché non sostituire “Italiana” a “Internazionale”, e rimettere in ordine le lettere? La “Cosa” nascerà così, come una semplice sigla scritta su una bella cartellina intonsa posata sulla scrivania della mia casa, a Milano. Una cartellina vuota. Tutta da riempire. Come? Come fai a mettere in piedi un’associazione di quel genere quando non conosci nessuno, e nessuno conosce te?
V
Tra i compiti dell’immaginata associazione non poteva mancare la richiesta di spazi più consistenti per la nostra disciplina, a cominciare dalla sua obbligatorietà nella scuola media. Ma anche per questo compito si doveva a mio parere cambiare radicalmente la strategia. Un solo esempio: nel 1967 c’è chi “ringrazia il Ministero per la circolare con cui esonera gli insegnanti di Educazione musicale dall’obbligo di partecipare ai consigli di classe”: che contributo può mai recare il povero musicista, alle prese ogni settimana con 400 ragazzi distribuiti in 18 classi diverse? Stia pure a casa, a riprendersi dal trauma. “Grazie Signor Direttore Generale dell’Istruzione di Primo Grado per l’interessamento e la comprensione dimostrati al problema”.
No no, cari colleghi: il povero musicista pretende di partecipare ai consigli di classe, perché vuole difendere gli interessi e le risorse musicali dei suoi ragazzi davanti ai soloni del leggere/scrivere/fardiconto; e siccome vedere 400 ragazzi per un’ora alla settimana non solo è alienante ma non ci permette di “recare un contributo ecc. ecc.”, ne vogliamo due. Di ore. Questo più o meno il ragionamento. Che dieci anni dopo si rivelerà vincente.
VI – Come si inventa un’associazione
Come s’inventa un’associazione? Dove cercare menti e braccia per costruire l’edificio? Il primo tentativo lo compio presso personalità influenti della vita musicale, che si sono mostrate sensibili alle problematiche dell’educazione. Il loro prestigio e la loro competenza ne garantirebbero non solo la qualità, ma anche l’efficienza. Ahimè entrambi ringraziano e declinano l’invito a farsi carico di quella che sembra un’iniziativa non solo utopistica ma – e qui la loro previsione si rivelerà dannatamente vera – ben faticosa e impegnativa.
Dunque non resta che rimboccarsi le maniche, e arrangiarsi. Accendo la lanterna e come Diogene giro alla ricerca di possibili collaboratori.
Comincio da qualche vecchio compagno di studi. Nelle assemblee occasionali degli insegnanti abbordo quei colleghi che mostrano di staccarsi dagli altri per interessi un po’ meno parrocchiali. Voglio solo ricordare con gratitudine Mariella Sorelli, che imprimerà una carica decisiva all’organizzazione. Un amico con cui da ragazzo avevo condiviso l’avventura spericolata di un Circolo Musicale Studentesco mi assiste nella stesura dello statuto: pochi articoli, per non legarci le mani prima di sapere come potrà svilupparsi l’iniziativa. Il documento è pronto, ed è quello che mostro ai primi proseliti, per spiegare le finalità della nascitura associazione.
Il 19 marzo 1969 verrà approvato in un informale incontro casalingo, al quale daremo il nome altisonante di Assemblea Costituente.
VII – Chi ci sta?
Torno al ’68, ai momenti avventurosi della ricerca di collaboratori. Conosco un maestro elementare, il maestro della scuola in cui l’anno dopo andrò a iscrivere il mio primogenito. Un maestro entusiasta di musica come lui è ben difficile trovarlo. Non solo fa cantare e suonare ogni sorta di oggetto sonoro, tutti i giorni, ma usa la musica per insegnare l’alfabeto, l’aritmetica, la geometria e Dio sa quant’altro ancora: Giordano Bianchi. Ma la ragione per cui lo cerco non è solo questa. Nel tempo libero arrotonda le sue magre entrate di maestro con consistente prole a carico, promuovendo la diffusione di strumenti dal nome allora magico, “Strumentario Orff”. Mi sottopone il testo di un questionario con cui intende saggiare la disponibilità degli insegnanti medi di Milano alla pratica strumentale (non prevista dai programmi!). Aggiusto il taglio, trasformando il piccolo questionario in un sondaggio su quel che pensano e fanno i colleghi. Giordano si rivela prezioso proprio per la nascita dell’associazione. Grazie ai suoi contatti con gli insegnanti milanesi è cominciato un rito che durerà mesi: alla spicciolata, uno, due, tre per volta, si affacciano nel mio studio, recati dallo zelante Giordano, gli insegnanti incuriositi dall’idea di far nascere… nascere cosa? Quegli incontri sono riempiti da rimbombanti concioni, a metà tra l’adescamento e la profezia: “Sorgerà creatura che cambierà le sorti dell’educazione musicale nel nostro Paese; e voi ne sarete gli artefici!”.
Le parole con cui presento gli scopi della futura associazione non sono propriamente queste, ma devo confessare che un pizzico di megalomania non manca mai di condire quelle serate (ci si vede dopo cena, davanti a sobrie tentazioni gastronomiche). C’è chi accetta di impegnarsi, c’è chi si limita a dare un’adesione di massima. E pure chi se la svigna dopo aver assaggiato il mix di predicozzo e tartina al prosciutto. Sul mio quadernino finiscono i loro numeri di telefono fra quelli della primissima leva.
VIII – L’identikit della nascitura
Perché le persone che avvicino sappiano senza possibilità di equivoco cosa intende essere la nascente associazione, dovevano essere chiare alcune cose. L’associazione dovrà:
- presentarsi non come il sodalizio di una categoria particolare di operatori, ma come il raggruppamento più libero e ampio possibile di persone sensibili alla promozione dell’educazione musicale, chiunque fossero, qualunque professione o interesse coltivassero;
- porre, alle radici del progresso dell’educazione musicale, la promozione di studi e ricerche sul terreno della didattica, per dare a questa una base solida, sulla quale fondare in futuro la formazione degli insegnanti.
- partecipare con propri seri contributi al dibattito sulla politica della scuola e alla relativa progettazione;
- esibire i valori procurati alla persona e alla società dal buon insegnamento, per ottenere maggiore considerazione per l’educazione musicale da parte dei politici, degli amministratori e in generale dell’opinione pubblica;
- dichiararsi aperta a ogni linea metodologica, ossia evitare di sposare una particolare impostazione dell’insegnamento musicale. Già si cominciava allora a parlare di “Metodi”, legati ai repertori di Kodaly, Orff, Willems e altri. Solo vaghe informazioni, su “metodi” che si pensavano come scatole chiuse, prendere o lasciare, formulari rituali e dogmatici. La nuova associazione doveva diffonderne la conoscenza, possibilmente togliendo loro ogni pretesa di esclusività: doveva proprio incoraggiare il confronto, la diversità e la creatività didattica;
- lasciare ad altri ogni obiettivo di tipo sindacale o corporativo.
Cose da poco, vero?
IX – Conoscere il campo di gioco
Preparo un secondo ben più corposo questionario, che chiudo con tre domande mirate:
- 62. Dalla sua esperienza di insegnante, ritiene di aver maturato idee che potrebbero utilmente essere conosciute – anche mediante pubblicazioni specializzate – dai suoi colleghi?
- 63. Riterrebbe professionalmente utile l’organizzazione, su scala nazionale, di una libera associazione tra insegnanti, a-sindacale e a-politica, col fine di incoraggiare la collaborazione reciproca e il confronto delle esperienze, di favorire sperimentazioni e ricerche didattiche, di promuovere iniziative?
- 64. Aderirebbe a tale associazione?
Ma quanti docenti si prenderanno la briga di rispondere a 64 domande? E come, soprattutto all’ultima? L’Himalaia che improvvisamente si alza davanti a noi ha la faccia di 5.000 indirizzi che mi sono procurato: dunque, bisogna comprare 5.000 buste su cui scriverli, 5.000 questionari a quattro da piegare e imbustare insieme alle 5.000 lettere di presentazione, 5.000 francobolli da 25 lire da incollare. Chi ce li mette? Un po’ di sfacciataggine imprenditoriale non guasta: ripeto nel questionario le domande sulle pubblicazioni e sugli strumenti musicali. Interesseranno alle aziende i risultati? In tandem con Giordano vado in pellegrinaggio alle aziende musicali: noi vi diamo i risultati dell’Inchiesta che stiamo preparando, e voi ci date i quattrini. Sì? Affare fatto…. Così tre case editrici e cinque fabbriche di strumenti in cambio delle informazioni si suddividono le spese. Doveroso segnalare il più aperto sostenitore aziendale della nostra iniziativa, Antonio Monzino.
X
Fra il dicembre 1968 e il marzo 1969 il dado è tratto. La mia casa è trasformata in un’agenzia di spedizioni. Un’agenzia festante e goliardica, che fa toccare con mano quanto bisogno gli insegnanti sentissero di rompere l’isolamento e di ritrovarsi insieme. Nelle prime notti d’aprile le cassette postali del centro città vengono intasate dai nostri cinquemila corposi questionari. Ottocento ci ritornano perché l’indirizzo è sbagliato. Dei restanti 4.200, ben 1.240 vengono restituiti compilati, da tutte le regioni italiane. Mentre i primi arrivano, una squadra di quindici apostoli si reca dal notaio (il testimone delle mie nozze: servizio gratuito) per depositare lo statuto. È giusto immortalare i nomi: Giuliana Bramati, Caterina Costadoni, Anna Maria Craighero, Carlo Delfrati, Tomaso Ferrari, Rosaria Finocchiaro, Maria Claudia Fossati, Italo Lo Vetere, Annarosa Magnani, Amedeo Maiuri, Adriana Mauri, Mariella Sorelli, Emma Toppi, Carlo Vendolo, Osvaldo Zambolin. E’ il 17 aprile del 1969. La SIEM ha finalmente un’esistenza giuridica. L’entusiasmo rende persino piacevole lo spoglio dei dati. Oggi basterebbero pochi clic col mouse. I mezzi di allora sono quelli di un altro millennio: carta e penna: uno scorre i questionari, l’altro trascrive le risposte. Un lavoro defatigante, ma tutto potrei dimenticare di quelle nottate tranne il clima gioioso che si respirava nel mio soggiorno tra carte, bolli, colla, penne, spugnette, barzellette, scherzi, canzoncine, spifferate; con contorno di salatini, pasticcini, lambrusco, bibite portate a turno dagli eroici apostoli.
I primi dati che andiamo voracemente a rilevare riguardano gli insegnanti che si dicono disposti ad aderire all’associazione. Accidenti! Sono ben 1.018, sui 1.260 che hanno risposto: un bel gruzzolo di nomi, e una responsabilità da brivido. I risultati sopravvivono, leggibili nel numero 2 della rivista Musica Domani.
“Collaborare, scambiarsi idee ed esperienze…”. Belle parole, Ma per renderle concrete bisognerà pure organizzare qualcosa: un convegno? Il primo convegno della SIEM? Come si fa? Settembre sembra il mese ideale: bisogna battere il chiodo fin che è caldo. Ma i colleghi si muoveranno? Ci verranno davvero, o si limiteranno a mandarci un bel messaggio di solidarietà?
XI
Come si fa a metter su un convegno? A chi viene va pur offerto qualcosa da mettere sotto i denti dell’intelletto. Cosa mettiamo nei piatti? L’estate del 1969 è particolarmente calda e frenetica. Dalla finestra della Casa Madre della SIEM guardo alle cose dell’educazione musicale come c’è da immaginare che Romolo e Remo guardassero i sette colli fatali. Un’organizzazione rigorosa ci vuole. Preparo un organigramma, sette pagine! elencando funzioni e compiti. Me lo rigiro tra le mani fiero e commosso. Basta solo… metterci i nomi dei volontari: uno per ogni Ministero del primo Governo della Siem. Si forma una brigata alacre ed entusiasta. Il “Mucchio Selvaggio”, come s’intitola il film di Peckinpach che quell’anno furoreggia. Ci dividiamo i compiti. Il primo è trovare la sede in cui svolgerlo: che sia gratuita ovviamente. Proviamo con una scuola? No, ci meritiamo di più. Perché non bussare al Salone della Musica che da un po’ si tiene a Milano, e che quest’anno si svolge proprio a settembre? Ci ricevono a braccia aperte, e ci mettono a disposizione una sala. Paura paura: se vengono in venti, che figura ci faremo in una sala convegni da cinquecento posti? Incrociamo le dita e continuiamo a lavorare. Annarosa e Rosaria, nominate Ministri per le Attività Culturali, vanno in missione al Centro di Fonologia della RAI, blasonato dai nomi di Nono, Berio e Maderna: Angelo Paccagnini, altro illustre protagonista della nostra musica elettronica, si offre per illustrare ai convegnisti (ma ce ne saranno?) lo Studio. La Scala ha in cartellone per quelle sere uno spettacolo di balletti: qualche biglietto a prezzo speciale ce lo tengono da conto (ragazzi, la Scala è la Scala, accontentiamoci!). Si può anche pensare a una serata cinematografica: non con Il mucchio selvaggio, e nemmeno con 2001 Odissea nello spazio, altro film di quei giorni e altrettanto indicato per etichettare la nostra Odissea; ma con qualcosa di adatto a una serata tutta lavagna e grembiulini: insomma pellicole musical-didattiche. Mai dimenticarsi che la TV era giovincella, videoregistratori e computer stavano nel mondo dei sogni; cd-rom e internet, oggi nostro pane quotidiano, nemmeno nei racconti di fantascienza. Le sette otto “pizze” interessanti messe a disposizione dalle case cinematografiche diventano una portata gustosa e sapiente del nostro menù. Per i convenuti Rosaria ciclostila anche un accurato Elenco dei film didattici per l’educazione musicale. Trecento lire la copia chi la vuole.
Alfonso assume l’incarico di Ministro delle Public Relations: le sue lettere a illustri musicisti e altri non meno illustri intellettuali e politici procurano un corposo Comitato d’Onore, che finisce subito nella prima pagina del dépliant in allestimento del convegno (vedendo i nomi dei previsti relatori, Gian Francesco Malipiero, chiamato anche lui nel Comitato d’Onore, declinerà l’invito: “ma questi sono gli educatori musicali, o sono quelli che devono essere musicalmente educati?”: un monito bruciante che ricordo a spanna, perché anche di questa lettera si è persa traccia). Ministro dell’Accoglienza è designata per acclamazione Mariella, il volàno inarrestabile e indispensabile dell’intera macchina del convegno: dovrà pensar lei anche a sistemare i partecipanti nei convitti milanesi che ha diligentemente contattato. Sempre che vengano…
XII
La cornice del convegno adesso c’è, una pomposa insperata cornice. Resta il piccolo dettaglio…: metterci il quadro! E’ vero che vogliamo un convegno fatto “dalla base”, da chi parteciperà: ma qualche stimolo iniziale dovremo pur darlo, qualcosa da scrivere sul dépliant va pure escogitato! Per prima cosa c’interroghiamo noi del Mucchio Selvaggio: chi ha da raccontare qualcosa di interessante? Timide o spavalde, acerbe o mature, chi può non avere gioie o dolori scolastici da raccontare? Anche intriganti, come l’invito di Lina a partecipare alla sua crociata per la musica popolare (sono pure gli anni del Nuovo Canzoniere Italiano e del folk revival), ma anche cose che ci fanno sgranare gli occhi: l’altro Carlo dovrà pure spiegarci come fa a conciliare l’abc con le regole contrappuntistiche del Dubois (che infligge ai suoi bambini…). Io mi tengo da conto: un po’ tappabuchi, un po’ sommo stratega, grondante sudore e diktat… I questionari della nostra Inchiesta ci regalano altre occasioni. Lì abbiamo letto che a Torino vive un collega informato sul “Metodo Willems”. Due grossi calibri, che sappiamo sensibili all’educazione musicale, si sono lasciati reclutare: Aldo Agazzi, pedagogista, Alessandro Marco Maderna, psicologo. Mi pare importante che non siano solo i musicisti a invocare una maggiore e migliore educazione musicale del cittadino, ma anche i non musicisti. Perché la SIEM possa arrivare così lontano, deve dotarsi di un congegno organizzativo mica da poco. Si deve fare in modo – pontifico – di essere presenti, come alfieri dell’educazione musicale, dentro il più gran numero di associazioni e istituzioni non musicali. Perché è lì che si decidono le sorti della scuola e dei curricoli, quindi anche la sorte dell’educazione musicale. Ma chi dirige e anima quelle associazioni? I letterati, gli storici, gli scienziati… Quando mai s’è visto un musicista? Poi non lamentiamoci se alla musica non pensa nessuno… “Un siemista in ogni associazione” è lo slogan che ronza nei miei vaneggiamenti notturni. Organizzano convegni sull’interdisciplinarità, sull’handicap, sulla valutazione, sull’educazione fisica, o intellettuale, su quel che vuoi? Con una ramificazione capillare dentro le altre associazioni, la SIEM potrà farsene co-promotrice. E suonarvi le sue campane. Le campane dell’educazione musicale. Abbordo il presidente dell’Association Europeénne des Enseignants. L’anno dopo l’AEDE chiederà in un suo documento che la musica entri nei curricoli della secondaria superiore. Vedi che funziona?
XIII
All’alba del 12 settembre 1969 ogni missionario Siem esce dalla sua casa col proprio incarico in mano e il cuore in gola. Chi verrà, nella nostra sala da cinquecento posti? Mentre finiamo di sistemare si affacciano i primi insegnanti, poi i secondi… i terzi… L’aveva intuito Mariella, a cui non erano bastate le camere dei pensionati per chi viene da lontano: e cercarne altre d’agosto a Milano mica è stato semplice. Adesso si formano le code per entrare. Nel foyer ognuno riceve una scheda di partecipazione, nella quale dovrà indicare il proprio grado di apprezzamento per le diverse fasi del convegno. La sera ne conteremo più di cinquecento! Più di cinquecento persone, quasi tutte mai viste prima, hanno risposto alla chiamata al Primo Convegno Nazionale della SIEM! C’era persino gente in piedi. Ci applaudiamo, ci abbracciamo, ci baciamo. Abbiamo centrato il bersaglio. Per la prima volta ci si trova fra insegnanti a parlare non più di stipendi e di tabelle d’anzianità, di classi di concorso e di modalità per il pensionamento, ma delle gioie e dei dolori quotidiani del nostro lavoro coi ragazzi, dei successi e dei problemi aperti. E’ come se improvvisamente ci s’accorgesse che protagonisti della scuola non siamo noi insegnanti, sono loro, le alunne e gli alunni. Un vaso di Pandora si disserra. Ci si chiede come far capire ai governanti e ai governati l’importanza capitale dell’educazione musicale. Si parla di come fare in quelle “classi differenziali” che allora esistevano, per i “fanciulli minorati”, come si chiamavano. E come comportarsi davanti ai ragazzi “infatuati dal beat”: “fonte di alienazione” protesta una partecipante; no, “momento didattico efficace”, replica un’altra. E quella benedetta storia della musica – ipotizza la preside di Varese (sì c’erano anche diversi presidi) – non è che può diventare la “musica nella storia” e sottrarsi a uno sterile nozionismo? E la pratica di legare musica e disegno, sarà produttiva nella scuola media? E la valutazione: che ce ne facciamo del voto; perché non lo eliminiamo? – reclama la Prof. veneziana. E come insegnare la scrittura, o la buona emissione vocale? E come far diventare attiva e produttiva l’esperienza di ascoltare dal disco la musica classica? Infine non sarebbe il caso di ridimensionare a scuola il solito Mozart, e fare spazio ad Alban Berg e a Dallapiccola, a Nono e a Penderecki? – è un’altra delle voci appassionate che si alzano su una platea trasecolante. Da Trento a Pescara, da Catania a Oristano, tutte le regioni sono presenti nella nostra tre giorni.
XIV
La sera del 14 settembre, stremati dalla fatica ma raggianti come i vincitori delle Olimpiadi, ci ritroviamo tutti nella centrale, che sentivamo già storica. Non pensiamo ancora alle responsabilità che ci aspettano. La mattina dopo qualcuno di noi si sveglierà sussultando, in preda al panico: dove diavolo mi sono cacciato? e se fuggissi in Patagonia? Ma in quella nottata domenicale c’è tempo solo per gaudiosi schiamazzi e gozzoviglie. Ognuno racconta le cose buffe che gli sono capitate, le amicizie che ha intessuto, gli atti eroici che meritano almeno una medaglia. Ce la darai o no, presidente tiranno? Nessuno fa caso al campanello che suona verso sera e che rapisce me al gruppo. All’uscio si affaccia uno dei cinquecento, un personaggio dai modi singolari, rimasto in disparte nel corso dei lavori, intento e meditabondo osservatore. Chiede di “conferire col presidente”. Rimarrò sequestrato per più di due ore. Sarà Alfonso a strapparmi inferocito alla sirena che mi aveva irretito: “Non si snobbano così i compagni in un momento come questo, con l’ultimo venuto!” “L’ultimo venuto? – scandirò solennemente, come il vescovo quando notifica la fumata bianca – Ebbene, Signore e Signori! Annuntio vobis che la SIEM ha trovato il suo profeta!” L’epiteto non era felice, perché non si profetizza ciò che esiste già. Il fatto è che avevo creduto di riconoscere, nelle parole singolari di quel singolare personaggio, l’apostolo armato, capace di dare un nuovo fondamento, e un colpo d’ala, alle velleità combattive dell’associazione. Si chiamava Marco de Natale.
XV
Per capire le speranze suscitate fra noi dall’apparizione di Marco de Natale, bisogna far mente al letargo in cui ancora languiva la didattica musicale alla fine degli anni Sessanta; non solo nella scuola dell’obbligo ma ancora più nell’istruzione avanzata. Non sarebbe bastato trovarci insieme ogni tanto a raccontarci le belle cose di cui eravamo stati capaci: anche la SIEM si sarebbe spenta dopo le prime vampe. Occorreva creare alla didattica una base inedita; dissodare il terreno da cui traeva alimento, quello della riflessione sulla musica, perché potesse piantare solide radici e svilupparsi in modo rigoglioso. Il primo fertilizzante di cui il nostro terreno aveva bisogno era la ricerca. Era un sogno, che già in quella frenetica estate 1969 sembrava potersi avverare. Tiro fuori dal mio cilindro il pretenzioso e altisonante progetto di un “Corso d’Introduzione alla Ricerca Scientifica nell’Educazione Musicale”. L’avevo elaborato in parte su modelli che mi ero fatto venire da lontano, primo fra tutti da un luminare della ricerca negli USA, James Carlsen. Trovo anche l’istituzione interessata a chiedere l’autorizzazione (e il finanziamento!) al Ministero: l’OPPI. Ora servono i docenti. Quando si parla di ricerca, le porte a cui bussare sono quelle dell’Università. Aldo Agazzi si offre disponibile come direttore. De Natale lo studioso di analisi musicale che più di ogni altro conosciuto pareva possedere la competenza necessaria per tenere acceso dall’alto il nostro focolaio. Trecentocinquantaquattro le ore d’insegnamento calcolate. Destinatari: i docenti di Educazione musicale interessati alla “ricerca intorno ai problemi dell’educazione musicale”, come stava scolpito nello statuto della SIEM. Costo dell’operazione: 1.969.000 lire: non molto, tutto sommato. Alla fine dell’anno il progetto viaggia a vele spiegate verso Trastevere. Sta viaggiando ancora, disperso oltre le Colonne d’Ercole del bel viale romano.
XVI
Proporre al Ministero che si facesse carico di un corso NON più solo per aggiornare gli insegnanti, ma per creare RICERCATORI “al quadrato”, cioè studiosi capaci di formare i formatori dei futuri insegnanti, doveva sembrare ai piani alti di Trastevere non solo un’utopia ma prima ancora la volta buona per internare i suoi proponenti in uno speciale manicomio.Davanti a un traguardo così ambizioso, la SIEM era come la formica davanti al Monte Bianco. La nostra associazione dovrà accontentarsi in futuro di qualche timido progetto d’assaggio (penso per esempio ai suoi “Quadreni di Ricerca”). Credo che questa resti una delle iniziative di cui la SIEM debba maggiormente andar fiera. Nemmeno una di carattere più modesto si sarebbe portata a termine allora: la creazione di un Centro Documentario e Bibliografico per l’Educazione Musicale. Come si può promuovere la ricerca se non si dispone di adeguati strumenti bibliografici? Nel Centro facciamo confluire i pochi materiali che cominciano ad arrivarci, qualche libro, numeri di rivista, sporadici sussidi. Si mostra interessato il mio Prof. di pedagogia, Aldo Agazzi. Ma le ragioni amministrative lo inducono a rilanciarci una soluzione che ci rende perplessi: voi raccogliete i materiali, e noi vediamo di trovare un angolo nella cantina della nostra bella biblioteca. Non era propriamente la mia idea. E tutto finisce lì. Torno alla carica l’anno dopo, presso il Conservatorio di Parma in cui insegno dal novembre del 1969. Stavolta la cosa prende piede, presso la locale Biblioteca Palatina, grazie alla disponibilità del direttore. Centocinquanta sono i libri che le case ci mandano gratis in quel paio di mesi. La Biblioteca ci acquista un primo blocco di testi stranieri. Ma scrivere, catalogare, seguire il prestito… non è una cosa che si può fare se non è istituzionalizzata. E neanche stavolta si riesce ad andare molto più in là delle buone intenzioni. A raccogliere il testimone sarà dieci anni dopo la Biblioteca del Centro di Fiesole, un luogo da allora obbligato per chi conduce ricerca sulla didattica musicale.
XVII
Il grado di una civiltà si misura dalla sua memoria storica. Anche la bontà della didattica musicale si misura dalla sua capacità di far tesoro dei contributi del passato: per far rifiorire ciò che ancora il passato contiene di vivo e fruttuoso. Anche la didattica ha i suoi talenti, i suoi eroi. Io sognavo per loro un mausoleo vivo. Un luogo in cui tenere acceso il contributo recato alla nostra professione dalle menti illuminate che ci hanno preceduto. Il mio mausoleo doveva essere un centro ecumenico, dove fossero superate e conciliate le divisioni fra le confessioni didattiche. Ancora una volta, un centro critico, di studio, ricerca, sperimentazione.
I pellegrinaggi servono per scovare i cimeli da esporre nel mausoleo. Se gli eroi sono defunti, i cimeli si trovano solo nelle biblioteche e negli archivi. Ma se sono ancora vivi, perché non andare a raccogliere la loro voce? Chissà quante cose hanno da raccontarci e da mostrarci. Quel primo anno purtroppo un dicastero così impegnativo la SIEM non riesce a coprirlo. Purtroppo neppure negli anni successivi. Ma qualche pellegrinaggio si può cominciare a intraprendere. Dagli acta sanctorum del mio schedario tiro fuori una lista di vecchie glorie italiane ancora in vita, da visitare prima che sia troppo tardi: per ricostruire e rendere nota la loro storia, i loro successi, ma soprattutto per la ragione che più fa soffrire: perché i loro successi si sono consumati come fuochi di paglia? Perché i loro stessi nomi sono svaniti nel silenzio, e le loro opere dimenticate?
XVIII
Il patrimonio del passato è linfa vitale del presente. O meglio, può esserlo, se lo teniamo vivo nel pensiero e nelle azioni. Anche nel terreno della didattica musicale. Perché la formazione degli specialisti della Didattica, i docenti, non lo prevede? I piccoli donchisciotte della SIEM ci si buttano. Nel mio schedario ho un pacchetto intero su Ermenegildo Paccagnella. Un didatta coi fiocchi. Chi lo conosce? Sarà ancora vivo? Sì che lo era, e viveva a Roma. Prima che potessimo andare a scovarlo lasciammo che il Padreterno ce lo sottraesse.
Cominciamo da chi sta più vicino. Elisabetta Oddone vive a due passi dalla mia ex scuola media. Di questa brava cantante conosco il volume La musica infantile europea e la raccolta Canzoniere popolare italiano, so che si era fatta promotrice di tante iniziative per la diffusione della cultura musicale, popolare e non. Sua era la Fa-Mi (o F.A.M.I., ossia Federazione Audizioni Musicali Infantili), dedicata ai concerti per i ragazzi. Sua la Cantuum Aedes (la Casa dei Canti, modellata sulla francese Maison du Lied). Perché è finito tutto? Perché iniziative così meritorie sono cancellate persino dalla memoria? Perché si ricomincia sempre daccapo? A casa sua ci vado con Carla Canedi. Come non ricordare le pareti della sua elegante dimora ai Giardini della Guastalla, gremiti delle fotografie delle sue glorie. Ma soprattutto ricordo l’emozione che provammo, davanti a quella luminosa nonnina, ancora così innamorata dei suoi bimbi di un tempo, i suoi antichi “canterini”. La tappa successiva è Bologna, dove vive un’altra nonnina che sono curioso di incontrare, Edvige Calza, una didatta del pianoforte di cui avrei voluto portare allo scoperto i nascosti segreti: chissà che vi si trovi qualche alternativa per i colleghi che ancora martirizzano gli allievi con l’Hanon. Oggi la didattica dello strumento gode di ben altra attenzione dentro la SIEM: intervistare Edvige Calza allora voleva essere anche un modo di riaffermare la stretta sinergia fra i diversi territori della didattica musicale.
Con una terza eroina della didattica musicale riusciremo a fare qualcosa di più che un’occasionale intervista: a Emma Pampiglione Bassi dedicheremo una sessione del nostro secondo convegno. Cominciano gli Anni Settanta.
XIX
La ricerca è solo uno dei fertilizzanti necessari alla crescita della didattica, come disciplina di studio e come pratica quotidiana. Ne esiste un altro, ed è la capacità di riflettere in modo adeguato sui significati profondi che la musica assume nel sistema dei saperi, e da cui il didatta possa ricavare gli strumenti e i contenuti del proprio lavoro. Se non consegniamo agli alunni gli strumenti e gli ingranaggi espressivi di base del linguaggio musicale, come poter convincere l’opinione pubblica, il legislatore, l’amministratore, il genitore, che la musica è un’esperienza imprescindibile nell’educazione di ogni cittadino?
Senza una musicologia rigogliosa di frutti, il nostro terreno avrebbe continuato a rimanere arido; i suoi risultati effimeri. Quando al primo convegno vediamo presentarsi Marco de Natale, un musicologo, non un insegnante, mi pareva di scorgere proprio l’anello che avrebbe potuto aiutarci a colmare lo spazio vitale tra la didattica, a cui si mostrava (caso raro fra i musicologi!) tanto interessato e quell’Analisi, di cui Marco de Natale era maestro. La nostra didattica soffriva di anoressia. Quegli studi le potevano fornire la sostanza nutritiva necessaria alla sua crescita. Non c’è dubbio: una delle prossime missioni sarà conquistarlo alla causa della nostra associazione.
XX
Il primo anno di vita della SIEM non è assorbito solo dall’organizzazione del convegno e dai progetti riguardanti la ricerca. Altri pesanti fardelli ci aspettano. Il primo riguarda la gestione interna dell’associazione. A tenere a balia la SIEM è stato pur sempre un gruppo geograficamente limitato di insegnanti, l’eroico manipolo di Corso Vercelli. Ma se la SIEM vuol essere una società “italiana”, appunto, ramificata sul territorio, è necessaria una rete di fiduciari, di “incaricati provinciali”, come si è cominciato a chiamarli. Chi legge il resoconto che del nostro primo convegno davano le riviste “Educazione Musicale” e “Carrara”, rimarrà stupito a scoprire che esistono quell’anno, 64 incaricati o addirittura sezioni provinciali. Col tempo si chiederanno determinate garanzie a chi intende proporsi come rappresentante locale dell’associazione. Ma all’inizio non si va troppo per il sottile. Basta la tua volontà di farti promotore localmente, e sei nominato “Incaricato provinciale”. Tredici circolari chiarificatrici inviate agli Incaricati in tre mesi danno l’idea dei ritmi febbrili di quei giorni.
Fra le condizioni poste all’apertura di una sezione diamo per scontata la principale: che le iniziative siano coerenti con le finalità dell’associazione. Questi accordi non impediranno il sorgere di problemi locali anche seri. La storia delle Sezioni, si può immaginare, è un capitolo così vasto e complesso che richiederebbe una storia a sé. Basti solo pensare ai rapporti tra la Sezione e le istituzioni del territorio, pubbliche e non: sia per offrire servizi sia per chiedere appoggio, a cominciare dalla sede. Se una Sezione intende avviare proprie iniziative, deve trovare il modo di finanziarsele. La quota sociale basta a malapena per le iniziative nazionali. Quel poco della quota che viene lasciato alla Sezione è pensato solo per spesare le comunicazioni con la sede e con i soci. La SIEM nasce e prospera senza alcun contributo pubblico Fa tutto esclusivamente con le proprie forze, con quel poco di imprenditorialità che l’ha segnata fin dall’inizio.
Le sezioni sono state – lo sono ancora – uno degli essenziali motori nella vita della SIEM. A loro titolo di merito va il fermento di idee e di iniziative che hanno saputo creare in territori prima d’allora sordi e inerti. E’ capitato a volte che una sezione chiudesse per mancanza di risorse, o per la diaspora dei collaboratori. Andiamo a vedere, e ci accorgeremo che qualcosa ha pure continuato a vivere. Qualcosa di più importante dell’esistenza stessa di una sezione SIEM. Non pochi alberi che oggi rendono ricco il boschetto della didattica musicale, qua e là in Italia, sono spuntati grazie al generoso lavoro di scavo e di semina delle sezioni SIEM.
XXI
Fatta la SIEM, è ora importante agganciare le associazioni consorelle nel mondo, a cominciare da quella che le riunisce tutte, l’ISME (International Society for Music Education). Il suo prossimo convegno è nel luglio del 1970, a Mosca, la Mosca di Breznev e della sua Ministra dell’Educazione Ekaterina Furtseva, che alla musica dà una discreta importanza. Perché non andarci? Sono previste centinaia di relazioni, di concerti, di presentazioni d’esperienze scolastiche, dal vivo e riprodotte. Insomma una manna per la nostra fame di conoscenze. Ma riusciremo a convincere qualcuno dei nostri a venire? Nessun gruppo italiano è mai stato ai congressi dell’ISME prima. Il successo del convegno nazionale ci ha mostrato che se ci organizziamo come si deve… Lina contatta un’agenzia di viaggi, che provvede a tutto. A costi contenuti, e pazienza se l’albergo ha l’aspetto di un gigantesco bunker. Alla fine del raccolto le adesioni sono cinquanta!
Il segretario dell’ISME Bo Rasmussen è sconvolto: come avete fatto? Vuole conoscermi e m’invita a un seminario ristretto, prima del grande congresso. A Stoccolma. La presidenza della SIEM comincia a diventare piacevole. Mi compro una rubrica apposita, dove finiscono i nomi di tanti nuovi amici, dall’Argentina al Giappone. Quale stupore vedere lì vicino a me in carne ed ossa personaggi di cui conoscevo i libri su cui m’ero formato, Arnold Bentley, Erszébet Szonyi, Richard Colwell, Edmund Cykler…….. All’assemblea dell’ISME vengo eletto nel Direttivo, e sono ben consapevole che è merito della forte partecipazione italiana, mai vista prima, e dell’esistenza stessa della SIEM. Da quel momento la nostra associazione ottiene l’ufficioso riconoscimento internazionale a cui ambiva.
Di quell’avventura una cosa mi colpiva, e su cui vale ancora la pena riflettere: è quel suo valore morale e sociale che la musica assicurava: per il semplice trovarsi a fare insieme esperienze musicali, insegnanti di tutto il mondo, europei e africani e asiatici, dell’est comunista e dell’ovest capitalista, cristiani e musulmani ed ebrei e atei. Non eravamo come i politici sui fronti opposti, eravamo gente con gli stessi problemi, le stesse aspirazioni, la stessa lingua! Quando insieme ai colleghi giapponesi e argentini, agli scandinavi e agli australiani, cercavi maldestramente di muoverti ai ritmi riproposti dal docente nigeriano – i ritmi su cui si esercitano in patria i bambini della sua scuola elementare – toccavi davvero con mano come nessun’altra esperienza come la musica sia in grado di costruire un affiatamento del genere. Sarà un’ingenuità, ma credo che al disgelo politico degli anni successivi, almeno quello fra l’Est e l’Ovest, sia servito anche il venir meno delle reciproche diffidenze della base, della gente comune come eravamo noi: i russi non ci sembravano affatto dei mangiabambini, e noi non apparivamo loro degli sporchi affaristi. Credo che anche quel lontano congresso moscovita dei musicisti, e gli altri del genere che l’hanno seguito, sia servito nel suo piccolo a incrinare il muro.
XXII
Oggi l’insegnante che voglia aggiornarsi ha solo l’imbarazzo della scelta. Quando la SIEM nasce l’unico corso lo offre il Ministero: in genere sempre lo stesso, residenziale. In quella settimana i suoi esperti ti spiegano che Verdi ha composto 27 opere, che il mezzosoprano non è un soprano alto un metro, che la sinfonia è nata prima di Mozart, che il valzer si batte in tre e la marcia in due, che il flauto è privo di ance, che gli scolari è preferibile non menarli. Almeno a scuola. Per oggi accontentatevi, domani nuovo menù.
Quando nel maggio 1969 vengo a sapere che in agosto Gioventù Musicale terrà un corso residenziale per giovani, mi mordo le mani. Non conosco l’ideatore, il professore di Filosofia e buon violinista, Annio Giostra. Ho conosciuto però una volta la sua Presidente, la musicofila munifica Baronessa Dorothy Lanni della Quara. Le chiedo ufficialmente udienza: che idea splendida, Baronessa; sapesse la fame che di queste cose hanno anche gli insegnanti: pratica corale, strumentale, educare i ragazzi all’ascolto… Peccato aver saputo così tardi della Sua encomiabile iniziativa. Si sarebbero potuti affiancare corsi di didattica ai corsi per amatori. Che ne dice di riparlarne per l’anno prossimo? Mi prende per mano e mi conduce nel suo salotto, dove mi fa servire il tè nella tazzina di ceramica Le Bon Chic, fondo viola a righe con mazzetti di fiorellini rossi. Secolo XVIII. Oh Baronessa, sorride anche a Lei il virtuoso futuro che il grande organismo delle Jeunesse Musicale d’Italia e la nostra piccola comunità di docenti potranno congiuntamente recare al benessere morale delle nuove generazioni? Cosa non si fa per la SIEM!
XXIII
La Baronessa non si limita ad accogliere la mia proposta. Decide di muoversi in prima persona. È in contatto con la consorella ungherese di Jeunesse Musicale. Ah Baronessa, lì sì che si fanno cose meravigliose. In Ungheria hanno eretto un arco trionfale a Zoltan Kodaly per le sue benemerenze didattiche. Ma anche in Austria! Per gli stessi meriti hanno costruito un mausoleo su misura per il compositore Carl Orff… Il povero Kodaly è morto da due anni; Orff, il guru germanico, è ben vivo ma inavvicinabile. Però l’uno e l’altro hanno messo su fior di seguaci: tutti bravissimi. E se facessimo venire in Italia un big ungherese e uno germanico? I corsi per amatori li lasciamo in piedi, Baronessa: porteranno vivacità ai nostri seriosi consessi didattici: prezioso anche per noi il mago del coro Mino Bordignon, e prezioso il mago dell’armonica a bocca John Sebastian. Ma ci verranno poi i nostri soci? Un conto è una giornata a Milano, un conto tre settimane al mare. A proprie spese! Giordano Bianchi prende il treno e a Pecs ingaggia un tesoro di insegnante, Laszlo Agocsy. Quando ritorna si dà un gran da fare per il Campo: ci procura non solo il docente, quell’Helmuth Herold, che sarà presente come un’istituzione stabile del Campo, ma anche lo strumentario Orff. E nell’agosto del 1970 il nuovo Campo di Gioventù Musicale e SIEM prende vita. Gli amatori sono pochi. Ma in compenso affluiscono gli insegnanti. Siamo in cinquanta. La formula “mare e musica” funziona bene. Il Convitto che ci ospita, arditamente dedicato al celebre architetto del Monumento a Vittorio Emanuele II, Giuseppe Sacconi, ha ben poco di monumentale: si dorme in camerate, i letti sono sfondati, gira anche qualche topo. Ma chi ha voglia di dormire: c’è tanto da fare e da imparare. Il mare nel 1970 è ancora pulito (cabina ombrellone sdraio vitto alloggio trasporti: due settimane tutto per quarantamila); il cielo terso; le notti tiepide; il gelataio di Piazza del Popolo merita una menzione d’onore. Dormiremo una volta tornati a casa.
XXIV
Abbiamo lasciato un pupillo di Kodaly, Laszlo Agocsy mentre al Campo di Fermo ci fa impazzire col suo Do che a volte è un Do a volte un’altra cosa. Questo benedetto domobile! Però chi impara bene il marchingegno verrà premiato. Laszlo si è portato da Pecs un mazzo di immaginette con su la foto di Kodaly: le consegnerà a fine corso solo a chi saprà far circumnavigare come si deve il Do fra le righe e gli spazi del pentagramma… Nel naufragio dell’archivio si è perso pure il mio santino, l’immaginetta con la foto di Kodaly e la dedica di Agocsy che il maestro consegnò solennemente anche a me in premio per la mia bravura (qualche maligno avanzava il perfido sospetto che me l’avesse dato perché ero sì un assiduo e diligente frequentatore delle lezioni ma ero pur sempre il Signor Direttore del Campo…). Per quattro anni Agocsy terrà il suo corso a Fermo, fino al 1973. E qualche insegnante sarebbe tornato ripetutamente, diventando un vero esperto kodalyano, come il fiorentino Giovanni Mangione, che arricchirà il repertorio didattico con un proprio manuale.
Usciti dall’aula di Agocsy, ci aspetta Meinolf Neuhäuser, segnalatoci dall’Orff-Institut di Salisburgo. A dire il vero, un orffiano piuttosto trasgressivo. La spina dorsale del “metodo Orff” è lo Schulwerk, l’insieme di composizioni scritte dal musicista tedesco per la scuola. Invece Neuhäuser gli preferisce ben altri autori: Stockhausen e Penderecki, Cage e Ligeti: tutti adattati per lo strumentario Orff, con ben confezionate partiture aleatorie. Anche il più timorato fra gli insegnanti di educazione musicale presenti resta incantato dalle atmosfere magiche che sprigionano da xilofoni e metallofoni e glockenspiel. Sono gli anni in cui John Paynter e i suoi amici dell’Università di York, Brian Dennis e David Bedford, George Self e Christopher Small, Terence Dwyer e Bernard Rands, sembrano rivoluzionare le pratiche educative, privilegiando su tutto la creatività, esercitata sui linguaggi delle avanguardie musicali. Persino nei più conservatori paesi d’oltre oceano ci si comincia a muovere in questo senso, con il canadese Murray Schafer e lo statunitense Contemporary Music Project. “Creatività”: proprio un bel tema per la nostra stagnante routine didattica. Varrà la pena dedicargli l’attenzione che merita, nella SIEM, magari un convegno apposito: cominciamo a pensarci fin da adesso.
XXV
L’argomento che più ha infiammato gli animi, al primo convegno della SIEM, è stato la canzone. Non erano dimenticate le reprimende di Rosa Agazzi contro “la canzone lubrica, l’urlo sguaiato della belva umana, la fiumana di lordure poetiche e musicali che insozzano l’anima dei nostri giovinetti e del nostro popolo”. Ora tuona un periodico musical-sindacale: Orrore! In certe scuole medie l’anno scolastico si è concluso “al ritmo di canzonette del corrente genere leggero, e persino di balli di moda (twist, madison ecc.). Intervenga il Ministero contro tale comportamento nocivo ai ragazzi”. Per il nostro Mucchio Selvaggio è un invito a nozze. La canzone a scuola sia proprio il tema del prossimo convegno nazionale, il secondo della SIEM. Nell’aria risuonano ancora le note proibite di Je t’aime, moi non plus, l’epitalamio di Jane Birkin sequestrato dalla polizia. Noi cosa vogliamo, rovesciare forse il diktat ministeriale e piazzare Jane Birkin e Joan Baez al posto di Vivaldi e Beethoven? No di sicuro! Semplicemente ci preme affrontare il problema della canzone dal punto di vista pedagogico e didattico. Il Direttore del Conservatorio ci mette a disposizione la Sala Verdi. Noi cerchiamo pedagogisti, sociologi, esperti del mondo della canzone; chiediamo lumi, spiegazioni, suggerimenti… E soprattutto intendiamo discutere costruttivamente l’intera faccenda con chi ci si scontra quotidianamente, gli insegnanti. Per i partecipanti preparo una scaletta di argomenti, condita con qualche domanda provocatoria; per esempio: il tuo alunno ti porta in classe il disco di una canzonetta, mettiamo Celentano; tu cosa ne fai? a) gli rovesci addosso tutto il tuo disprezzo; b) lo ignori; c) gli fai capire che c’è di meglio; d) usi Celentano come materiale di lavoro scolastico; e) altro…… Che il tema susciti interesse lo dimostra nel 1970 il numero di partecipanti al secondo convegno SIEM, seicento! Il numero più alto nella storia dell’associazione. Suscita interesse, e suscita scandalo. Le prime avvisaglie sono telefoniche. “Attenti! – sentenzia all’apparecchio la voce di un influente musicologo/didatta/manager milanese – Questo convegno sarà la buccia di banana su cui la SIEM scivolerà”. Il titolo del convegno è un’altra ragione di scandalo: “La musica dei giovani e l’educazione”. Musica dei giovani?! Serpeggia la protesta: macché “dei” giovani! imposta, iniettata, smerciata, “ai” giovani!
Chissà come fremeranno di sdegno le pareti del Conservatorio quando dagli altoparlanti della Sala Verdi si diffonderà il suono di “canzonette del corrente genere leggero”: gli Scarafaggi inglesi! e poi Mina! Vergogna! Sul giornale del Sindacato Nazionale Musicisti, uscirà a cose fatte una feroce invettiva: “I mercanti nel Tempio”, campeggia il titolo al centro della pagina. Il Tempio ovviamente è il Conservatorio che ci ha ospitati; e noi siamo i mercanti, gli spacciatori di canzonette. Che il Ministero prenda i dovuti provvedimenti, e chiuda finalmente la bocca a questi spregiudicati teppisti della SIEM!
XXVI
Ai primi assalti la SIEM sopravvive. Le personalità che siamo riusciti a coinvolgere (tutti gratis, meno uno) nel convegno sulla “Musica dei giovani” sono musicisti e studiosi di primissimo piano, e bastano a chiarire la serietà delle intenzioni. Guido Turchi, l’illustre compositore direttore del Conservatorio di Firenze accetta di presiedere il convegno. Ma anche il dibattito e il confronto sono accesi. Un altro nome illustre mette in guardia dal rischio-narcosi che la canzone condivide con la musica di un compositore quotato, Carl Orff : “mai fatto caso che la struttura logica della sua musica, sentenzia, è la stessa dei discorsi di Hitler?” A stendere il bilancio del convegno, e a rivelarsi il pezzo da novanta che serve alle battaglie della SIEM, entra per la prima volta in campo de Natale: “l’aggancio alla musica dei giovani è spesso l’unico punto di partenza di un processo educativo che non può svolgersi nel vuoto delle astrazioni”. Poi alza il tiro: a suscitare le “voci incomprensive (e talora volgarmente denigratorie)” è “l’insufficienza e l’arretratezza che denunciano le strutture conservatoriali”; non solo l’educazione musicale di base, e nemmeno solo quella “testa di turco che è divenuto l’insegnamento di Teoria e Solfeggio”, bensì “tutta l’intelaiatura teorico-didattica degli studi conservatoriali”. Accidenti, “tutto” quello che si fa in Conservatorio viene messo sotto accusa. Ci corre un brivido nella schiena a sentire bordate del genere nella Sala Verdi dell’ospitante Conservatorio di Milano, ma in fondo al cuore i più spericolati di noi sprizzano di gioia. Vai de Natale, la SIEM ne vedrà delle belle!
Però si deve anche sopravvivere, e allora al bastone occorre affiancare se non la carota almeno il ramoscello d’ulivo. E’ poco igienico che l’imberbe SIEM si tenga come nemico un sindacato, sia pure naïf come quello che avevamo tanto spaventato: mi tocca prendere il treno e andare a Roma a spiegare, a un Salvatore Allegra commosso per tanta degnazione, che il Tempio era rimasto indenne e che il nostro ruolo di sbrindellati intellettuali ci precludeva fatalmente l’accesso alle paventate delizie del mercato canzonettaro.
XXVII
Passano quasi due anni dalla nascita dell’associazione, prima che si riesca in un’altra impresa non da poco: la pubblicazione di un organo ufficiale. Già, un trimestrale. Ma dove troviamo i quattrini? Sponsor è una parola che allora neanche esisteva. Però c’è la pubblicità. Quindici aziende musicali abboccano. Tolte le dieci pagine per la pubblicità, ben quarantotto pagine bianche aspettano di essere riempite dal nostro genio libellistico. Individuato anche l’ingranaggio centrale della rivista, il direttore: chi se non de Natale? Basta convincerlo.
Invece de Natale tentenna. La gestione di una rivista è un impegno tremendo. Io incalzo sviolinando, sostenuto dal contrappunto a sette voci del Consiglio Direttivo: impegno grave, certamente, Maestro, ma non si preoccupi; in fondo i primi due numeri sono già pronti, colmati dai materiali già in nostro possesso, le relazioni del convegno sulla “Musica dei giovani”, la Prima Inchiesta, le attività delle Sezioni… Dal numero tre in poi, il compito di cercare gli articoli ce lo divideremo fraternamente. Quanto al lavoro redazionale, no problem: chi è il meneghino, lei o io? vada tranquillo, Maestro, ghe pensi mi. E “la sventurata rispose”, come Gertrude nei Promessi sposi. Lui ha anche un’idea eccezionale per il titolo: “Hopp, Hopp”! Eccezionale ma un po’ rischiosa. E’ vero che a cantare “Hopp, Hopp!” alla fine dell’opera è un bel bimbo, sul suo cavallino a dondolo, dunque una metafora carina per la nostra missione educativa. Ma se poi si scopre la verità, che il bimbo di Wozzeck canta “Hopp! Hopp!” mentre i compagni gli indicano con le manine la mamma stesa pugnalata a morte e il papà assassino annegato nello stagno, non è che ci daranno del menagramo? A malincuore de Natale si rassegna ad accettare il più anonimo e grigio titolo che gli metto davanti: “Musica Domani”. “Un luogo di riflessione e di promozione per quella che ci auguriamo sia la realtà musicale di domani – scrivo solennemente nella presentazione – e di un domani il più vicino possibile”.
XXVIII
Musica Domani merita una storia a sé, dentro la storia della SIEM, ma anche fuori, per quello che ha rappresentato nelle vicende dell’educazione musicale in Italia dal 1971 in poi. Da soli i 180 numeri costituiscono uno straordinario patrimonio a disposizione di chi voglia vivere fino in fondo il suo compito di musicista e di educatore insieme. Musica Domani è un meteorite che all’inizio del 1971 si aggiunge ai macigni che già riempiono il piccolo campo della SIEM: corsi, convegni, sezioni, rapporti internazionali… La fatica comincia a farsi sentire. Del Mucchio Selvaggio del ’69 pochi sopravvivono. Il nuovo vivaio di risorse umane è il corso di Didattica del Conservatorio di Parma dove insegno. Perché ci aspetta l’appuntamento annuale, il terzo convegno nazionale. Cominciano a girare nelle scuole mezzi ormai familiari come tivù e magnetofoni, e nuovi marchingegni come lavagna luminosa, lavagna sonora, libri per l’istruzione programmata, addirittura macchine fantascientifiche dal nome esotico: li chiamano computers. Sarà il caso di occuparsi di simili giocattoli? – azzarda qualcuno: poi passa la moda e noi abbiamo buttato via il nostro tempo. Ma ormai il tema del nuovo convegno è deciso: “I sussidi audiovisivi nell’insegnamento della musica”. A Parma naturalmente, a settembre. A gennaio stilo un delirante piano organizzativo di sei fitte pagine, distribuendo compiti e scadenze come il generale Eisenhower prima dello sbarco in Normandia. Un piano per ciascuna delle cinque sessioni del convegno, uno per la segreteria organizzativa, uno per la mostra del materiale didattico, e poi per i rapporti con le aziende, per le manifestazioni collaterali, per le relazioni pubbliche, per il settore stampa e tivù. E alla testa di ognuno, un efficiente siniscalco. Fin che ce la fa e non me la fa pagare: prima o poi dovrà succedere. Intanto il terzo convegno sarà un tripudio di eventi. Abbiamo a disposizione nientepopodimeno che lo splendido Teatro Regio e il Conservatorio Arrigo Boito, Assisteremo a spettacoli nel prezioso Teatro di Sabbioneta, con un contorno gastronomico-mondano degno della miglior tradizione parmigiana…
XXIX – Di diritti e dei doveri
Il convegno di Parma del 1972 ha un significato speciale. La SIEM è una realtà neonata. Avere al nostro fianco realtà “adulte” è una mossa opportuna. Riusciamo a coinvolgere il presidente della Società Italiana di Musicologia, Claudio Gallico. E pezzi da novanta, come Rodolfo Celletti, Carlo Marinelli, Gian Paolo Minardi, Mario Baroni, Adriano Cavicchi. Dulcis in fundo, anzi ab initio, Massimo Mila a presiedere la sessione. Ma nei lavori del convegno s’intrufola un tarlo insidioso, d’altra natura. Fra noi insegnanti si è sempre e solo parlato dei nostri diritti. Io azzardo l’invito a occuparci dei nostri doveri. Il diritto è sempre la controparte di un dovere. Soprattutto a un’altra categoria di persone a andrebbero riconosciuti gli stessi analoghi sacrosanti diritti; e sono i bambini e le bambine, le ragazze e i ragazzi. Nessun sindacato li ha mai tutelati e mai li tutelerà. Perché la SIEM non potrebbe farlo? Sono anni turbinosi quelli. La contestazione giovanile raggiunge in quegli anni il suo acme. Il socio-psicanalista Gérard Mendel arriva a proporre il diritto di voto a partire dai dodici anni d’età. Ivan Illich parla di descolarizzare la società. Non sarà meglio che sia la scuola a farsi un radicale esame di coscienza? Ai diritti dei bambini corrispondono i doveri della società adulta, e più specificamente di coloro a cui la società affida il compito primario di difenderli, i diritti dei bambini: gli insegnanti.
Se non esiste una chiara consapevolezza di questa reciprocità fra diritti e doveri, nemmeno avrebbe senso l’esistenza di una SIEM. Perché fra i diritti fondamentali del bambino, guarda caso, c’è proprio la musica. La musica è un dovere che gli adulti hanno verso i giovani. E’ un dovere delle istituzioni darle spazio nelle sedi educanti; è un dovere dell’insegnante dotarsi del più ricco ventaglio di competenze per trasmettere nel modo più gratificante i tesori della musica ai giovani.
In assemblea serpeggia qualche malumore. Qualcuno comincia ad appartarsi bofonchiando… Cattivo segno, come d’estate i brontolii lontani… Ma passerà un anno ancora, prima che scoppi il temporale.
XXX
Al Convegno del 1972 partecipa anche un personaggio che avrà un peso importante nella storia della SIEM. Esperto di audiovisivi e didatta dalle ampie vedute l’avevo invitato a portare al convegno la sua esperienza. Era stato così gentile da venirmi a trovare in Conservatorio, per poterne discutere. Accetta di buon grado. La mia amicizia con Maurizio Della Casa è cominciata così. Il convegno scorre nel migliore dei modi, e con il solito straordinario afflusso di insegnanti. Ma non è certo la sola iniziativa di quell’anno. A Fermo il Convitto sede dei corsi chiude i battenti e Giostra ci trova una sede speciale, giusto sotto la Piazza, il Collegio Fontevecchia. Sulla facciata fiammeggia la lapide posta provocatoriamente dai Sabaudi: qui fu tenuto prigioniero Giordano Bruno, prima di essere bruciato vivo sopra la pira pontificia. Sotto il palazzo corrono le latebre delle Piscine romane: è qui che l’avranno torturato? Qualcuno ci chiede che genere di torture infliggerà il Campo agli ignari partecipanti: quasi raddoppiati rispetto all’anno prima. Invece il Campo ripropone i due mitissimi esperti, kodalyano e orffiano, oltre a una nutrita squadra di new entries. Le torture le subisce piuttosto il cortile rinascimentale, con i bambini e i ragazzi che ci giocano a pallone. Anche su questo tocca intervenire severamente, quando si organizza un Campo. Sono i numerosi figli dei frequentanti, compresi i miei primi tre. Per tenerli buoni, abbiamo deciso di organizzare corsi appositamente per loro: non dicevano gli antichi che la musica ammansisce anche le belve? Vediamo se funziona anche con i bambini.
XXXI – L’influsso dell’eretico
Fermo offre ai partecipanti una piacevole vacanza marina. Ma per gli insegnanti che al mare preferiscono la montagna? Due occasioni si presentano per accontentarli. Una nasce dallo zelo irrefrenabile della presidente di Vicenza, Maria Pia Pasoli, che trova una bella sede disposta ad accoglierci, sopra Recoaro. L’altra in Piemonte, a Pamparato. Nel giro di due anni, la solitudine silenziosa in cui il Ministero lasciava vivere i docenti è riempita dalle allegre kermesse didattiche offerte dalla SIEM. Sempre fauste? No. A preoccuparci, l’estate 1971, è il Grand Guignol che va in scena a Fermo: un evento burrascoso, capace di mettere a repentaglio il futuro stesso della giovane SIEM. A governare il Collegio stava un direttore di specchiata moralità e di antichi principi, che non s’era rassegnato all’affronto della lapide posta proprio sopra il portone d’ingresso del suo istituto. La lapide, si ricorderà, con cui i libertini mangiapreti inneggiavano alle malefatte di Giordano Bruno! Verrà il giorno in cui le persone per bene riusciranno a mondare il muro da quell’ignominia. In attesa del gran giorno il nostro rettore vegliava perché gli influssi dell’eretico non alitassero sugli ospiti del suo Collegio. In una delle sue ronde quotidiane, preceduta da estenuanti appostamenti, verso l’ora che volge al desio dei frequentanti, da dietro la siepe spinosa che gli aveva scorticato le mani, era riuscito a cogliere, seduti sotto l’ombroso eucalipto del giardino, l’uno accanto all’altra, occhi rapiti, mano nella mano, l’interprete ungherese in flagrante flirt con una compiacente damigella. Un flirt nel Collegio Fontevecchia, dove per molto meno era stato seviziato Giordano Bruno! Al primo bacio il rettore sentì avvampare le fiamme che avevano incenerito l’eretico. Solo un profondo atto di contrizione del direttore del Campo, e la segregazione forzata dei due reprobi, permetteva al Campo di giungere al giorno dell’estremo, definitivo congedo.
XXXII – Estate 1972
Diventato sindaco della città di Fermo, Annio Giostra, l’infaticabile sostenitore del Campo Musicale, gli trova una sede benedetta, il Collegio del Bambin Gesù. Terza sede in tre anni, per un numero di partecipanti ancora cresciuto: 120. Le suore non ci chiedono molto. Dopo lunga trattativa riesco a portare a mezzanotte l’ora ultima per il rientro dei nottambuli. Chi si presenterà più tardi troverà inchiavardata ogni possibilità di comunicare con l’interno. Gli amici non avranno dubbi su chi fosse lo sciagurato che proprio la prima notte si trovò a bussare invano alle mura merlate del Collegio, un quarto dopo la mezza, e a sfidare l’addiaccio! Cosa non si fa per i destini della didattica musicale. Più tranquilla la vita degli altri corsi, che continuano in collina e in montagna. Pochi giorni prima ci ha aspettato l’International Society for Music Education. A Tunisi. Luglio a Tunisi è un’esperienza indimenticabile. Sul dépliant scriviamo in piccolo il nome del mese, e in grande le cose meravigliose che aspettano i fortunati che ci andranno. Si rimette in moto la macchina organizzativa, e al Congresso internazionale riusciamo a portare 35 docenti italiani. Stavolta la nostra partecipazione è più attiva che a Mosca. Smania di palcoscenico (sarà effetto della calura africana?) mi trascina a concionare sulla politica dell’educazione musicale seguita in Italia dalla SIEM, che ho l’ardire di prospettare come valida per il mondo intero. Per tenere a freno i miei ardori mi chiudono nel Direttivo per altri due anni. Il danese Jan Daniskas e il francese André Ameller mi tirano fuori giusto per scrivere la mozione finale del congresso, dove ricordiamo la necessità di dedicare un esplicito intervento educativo anche ai bambini “minorati”, così li chiamavano, e poi auspichiamo che gli insegnanti si tengano informati sul lavoro di ricerca dei musicologi e dei pedagogisti. C’è bisogno di andare a dire queste cose agli insegnanti del mondo? Sì, c’è bisogno. Ma l’apporto italiano più significativo a Tunisi è la presenza di una nostra orchestra, l’Orchestra giovanile della Civica Scuola di Musica di Milano. Anche in Italia si fa musica a scuola, mica solo in Tunisia!
XXXIII – I primi corsi abilitanti
La formazione dei docenti è un ingranaggio chiave, quello a cui la SIEM è più sensibile. Quando il 6 dicembre 1971 veniva varata la legge che obbliga i docenti a un corso di formazione didattica sentiamo di dover essere in prima linea. Per la prima volta i responsabili della scuola assumono il principio che non basta un diploma di Conservatorio per insegnare musica, occorre anche una specifica competenza didattica. E meno che mai servono gli esami di abilitazione svolti finora, ridotti a verificare se il candidato possiede le nozioni che il Conservatorio gli ha già riconosciuto elargendogli un diploma.
Un corso di pochi mesi come quello deciso dal Ministero non può certo fornire quel che serve, ma ci sembra importante che intanto passi il principio. Da pochi anni funzionano timidamente in alcuni Conservatori i primi corsi di Didattica. Una realtà troppo precaria e rara per il complesso compito.. Pubblichiamo impavidi le nostre “Indicazioni programmatiche per i corsi abilitanti”. Lo stampiamo nel numero 6 di Musica Domani. Il concetto chiave è l’autoaggiornamento: una proposta per quei tempi semplicemente eversiva. Quando l’atteso documento ministeriale finalmente esce, all’inizio c’è da commuoversi: “I corsi non vogliono prefigurarsi come strumenti di informazione teorica… più utili esercitazioni, lavori di gruppo e seminari di ricerca … che dovranno poi essere trasferite nella pratica dell’insegnamento… Un modello organizzativo che comporti reciproci scambi di esperienze, dialoghi, dibattiti fra docenti e partecipanti, ricerche personali, attività sperimentali e operative” eccetera eccetera. Accidenti, allora ci hanno preso sul serio! La commozione dura poco. Si corre a leggere il paragrafo che riguarda l’educazione musicale: “Fenomeni acustici di importanza particolare… Classificazione delle voci. Nozioni fondamentali di anatomia, fisiologia e igiene dell’organo vocale… Approfondimento dei momenti e delle personalità più importanti della storia della musica…” Il nozionismo più bieco. Un tradimento nero delle Indicazioni generali. Quando si dice che troppo spesso i musicisti restano fuori dalle correnti del pensiero, come scriveva allora un luminare.…